II Bauhaus
La dialettica tra l’utile e il bello
((La definizione di “secolo breve” coniata da Eric Hobsbawm per il Novecento dal punto di vista storico s’adatta egregiamente anche alla vicenda dell’architettura. Dopo la prima guerra mondiale, infatti, l’arte del costruire vede nascere una teoria estetica adeguata alla modernità dei materiali e delle tecniche, e soprattutto attenta, ancor più di quanto non fosse avvenuto nell’ estetizzante stagione del modernismo, alla dimensione storica, sociale, economica, culturale reale dell’umanità nel proprio tempo. E se ancor oggi l’architettura è l’unica disciplina sopravvissuta al distruttivo culto della crisi tipico del Novecento, ciò si deve alla capacità che gli architetti hanno avuto di guardare alla realtà leggendo, interpretando ed orientando gusto e destini. E creando sempre e comunque lo spazio per il tempo presente, e pensando quello del tempo a venire. ||
Con la nascita dell’industria, che produce in serie mediante macchinari e fornisce prodotti funzionali allo scopo prefissato, senza porre problemi di natura estetica, e con la conseguente decadenza dell’artigianato, si è venuto contrapponendo, a partire dalla fine del Settecento e soprattutto dall’Ottocento, ciò che è «utile» a ciò che è «bello». Il problema si è posto non soltanto per l’oggetto di uso comune, ma anche per l’architettura, a proposito della quale si è rischiato di arrendersi all’idea che l’architettura antica, classica, sia bella ma non funzionale, e quella moderna sia brutta ma funzionale.
In questa affermazione c’è un errore di fondo: architettura, pittura e scultura sono sempre state funzionali alle esigenze della società che le ha viste nascere.
Funzionalismo e razionalismo
L’idea di sottrarre sia l’architettura che ogni suppellettile ad essa destinata dall’appiattimento della produzione in serie, presente fin dalla metà dell’Ottocento, è comune anche al più importante movimento artistico sviluppatesi fra le due guerre, quel movimento che si coagula attorno alla scuola detta Bauhaus, fondata a Dresda nel 1919.
II Bauhaus
La traduzione letterale del termine Bauhaus è «casa della costruzione», ma al termine italiano «costruzione» bisogna dare un significato molto più ampio di quello usuale: ideazione, progettazione, realizzazione, elaborazione tecnica – non importa che si tratti di oggetti d’uso comune o di edifici, di sculture o dipinti, di arredi o articolazioni spaziali urbane.
Uno dei punti fondamentali del Bauhaus è infatti la ricerca dell’opera d’arte «totale»: una concezione diffusa dal romanticismo in poi, ma che per la prima volta viene sistematizzata. Struttura portante ne è l’architettura in quanto attività principalmente funzionale alla vita e alla società; corollari più importanti ne sono la scultura e la pittura.
Il Bauhaus è basato sull’ideologia democratica: insegnanti (non professori, ma «maestri») e allievi collaborano tra loro, e gli allievi stessi, i migliori almeno, una volta terminati i corsi divengono insegnanti.
Fondatore e primo direttore del Bauhaus, nominato dal governo socialdemocratico di Weimar nel 1919, fu Walter Gropius.
Elemento programmatico di base del Bauhaus è l’annullamento della distinzione fra «artista» e «artigiano», in quanto il primo è un artigiano che solo «in rari momenti d’illuminazione – dice Gropius – […] fa fiorire l’arte». Questa non si può insegnare, ma l’artigianale si: «Si pretenderà perciò da tutti gli studenti – è scritto nel programma – una preparazione artigianale di base da conseguire in officine e in luoghi di sperimentazione e di lavoro».
Le officine costituirono dunque la realizzazione concreta dell’idea espressa dal fondatore, secondo il quale occorreva che gli artisti si liberassero dall’autoreferenzialità per dedicarsi alla progettazione di oggetti di uso quotidiano; esse infatti furono la base della scuola- laboratorio in cui «ogni studente deve imparare un mestiere artigianale».
Nell’istituto, a partire dal 1920, un artista, detto il «maestro della forma», affiancò il maestro artigiano nelle lezioni tenute agli apprendisti. Nella falegnameria e in altre officine questo ruolo fu affidato a Johannes Itten (Siìdernlinden, 1888-Zurigo, 1967), che incitava gli studenti a trasferire nel lavoro concreto quanto appreso durante il corso introduttivo da lui diretto.
Poiché Itten considerava le opere creative individuali diverse dai prodotti destinati alla commercializzazione, rifiutava di accettare commesse esterne. Questo atteggiamento lo portò allo scontro con Gropius, il quale sosteneva invece la necessità che le officine provvedessero alle esigenze finanziarie del Bauhaus. Nel 1922, con la realizzazione di alcuni prototipi, Gropius fece il passo decisivo per il superamento della contrapposizione fra produzione industriale e attività artistica; nell’ottobre dello stesso anno, Itten lasciò la scuola.
Ad insegnare nel Bauhaus furono chiamate alcune delle massime personalità contemporanee, fra le quali ricordiamo: Paul Klee, Vasilij Kandinskij, Lyonel Feininger, Làszlo Moholy-Nagy, Oskar Schlemmer (al quale si deve principalmente l’attività teatrale della scuola), JosefAlbers, Marcel Breuer, Herbert Bayer (questi ultimi tre prima allievi e poi maestri nella scuola).
La vita del Bauhaus non fu facile. Le difficoltà principali erano d’ordine politico. Sebbene Gropius non fosse comunista e avesse anzi sempre insistito sulla non politicizzazione del Bauhaus, le idee di democrazia che venivano sostenute sul piano artistico erano tali da allarmare i conservatori.
Adducendo difficoltà economiche, nel 1924 il governo regionale licenziò i maestri, che il 31 marzo 1925 sciolsero il Bauhaus.
Fortunatamente la città di Dessau decise di dargli ospitalità e di finanziarlo. Ma il nazismo stava ormai conquistando la Germania. Il 30 gennaio 1933 Hitler saliva al potere. Il 19 luglio dello stesso anno il Bauhaus, frattanto trasferitesi a Berlino, accusato dalla stampa nazionalsocialista di essere un «covo del bolscevismo», e privato dei fondi, decideva il proprio scioglimento definitivo.