Boccioni Umberto

Boccioni

Lo spettatore entra quasi a far parte dell’opera pittorica, in accordo con un’idea che Boccioni svilupperà successivamente e che appartiene alla poetica futurista, secondo la quale lo spettatore deve essere posto al «centro del quadro».

La città che sale  è invece il frammento di una visione che prosegue oltre i limiti della cornice, la visione di un moto vorticoso inarrestabile, con linee-forza pluridirezionali: siano quelle costituite dall’accostamento di vivi colori, o quelle geometriche della prospettiva con convergenza veloce a destra, o ancora le verticali dei pali nel cantiere edile sul fondo.

È una tipica tesi futurista (il titolo stesso lo dice) che qui trova la sua realizzazione artistica: pulsa attorno a noi, che ne facciamo non come spettatori ma come attori; è un flusso inarrestabile: non : esiste perciò la possibilità di focalizzare un  oggetto fissandolo isolatamente, perché, al contempo, noi percepiamo, con la «coda dell’occhio», o intuitivamente, tutto il complesso  e tumultuoso ambiente di cui esso fa parte.

Umberto Boccioni riteneva questo suo dipinto un’opera «di transizione», forse perché vi è ancora presente – al limite estremo, però – qualche residuo di rappresentazione e di spazialità tradizionale. Ma su tutto prevale l’aspetto emotivo: non è la riproduzione di qualcosa di esterno, bensì l’ di

uno «stato d’animo», secondo una tendenza comune nella pittura europea di origine “espressionista”.

 Boccioni la città che sale

  Umberto Boccioni, La città che sale, 1910;

olio su tela; 200×290,5 cm. New York,

 “Picasso copia l’oggetto nella sua complessità formale, decomponendolo e numerandone gli aspetti. […] ma l’analisi dell’oggetto si fa sempre a spese dell’oggetto stesso: cioè uccidendolo. […]

Per noi il è stessa intuita nelle sue trasformazioni dentro l’oggetto e non al di

fuori. […] Concependo l’oggetto dal di dentro, cioè vivendolo, noi daremo la sua espansione, la sua forza, il suo manifestarsi, che creeranno simultaneamente la sua reazione con l’ambiente.”

(U. Boccioni, 1914)

 

Forme uniche della continuità nello

Nelle sculture boccioniane, che realizzano l’assunto sostenuto nel tecnico della scultura futurista, troviamo simultaneità di vedute,  «compenetrazione di piani»,  inserzione globale nello spazio. 

In questo l’opera più compiuta è Forme uniche della continuità nello spazio. Con la chiarezza critica che contraddistingue Boccioni, il significato ’opera è espresso nel titolo: la forma umana, in veloce – mentre già ha raggiunto una posizione e si accinge a procedere oltre -, è in qualche modo ancora presente nello precedente, perché nella nostra retina restano le e soprattutto perché il moto è continuo e noi lo percepiamo in sintesi. Per questo Boccioni respinge anche il parallelo con la cinematografìa: questa raggiunge l’ del moto con la proiezione rapida e consecutiva di immobili e diverse; il futurismo, invece, dice Boccioni, ricerca «una forma unica che sostituisca al vecchio concetto di divisione, il nuovo concetto di continuità», e cita la filosofia di Bergson secondo la quale è arbitraria ogni separazione della materia in corpi indipendenti, con contorni esattamente determinati.

 Boccioni Forme uniche

Umberto Boccioni, Forme uniche della continuità nello spazio; 1913; bronzo; altezza 1,10 m. Milano, Galleria d’ Contemporanea.

L’artista individua un solo precedente rispetto alla propria concezione: quello di Medardo Rosso, perché «accenna ad una liberazione verso lo spazio», anche se, aggiunge, con il limite dell’alto o basso rilievo (che obbliga a una visione unilaterale) e con il limite impressionista dell’assenza di costruzione dei piani che, con l’immediatezza esecutiva, toglie all’opera il carattere di universalità.

Con lo scoppio della Boccioni si arruola volontario (luglio 1915). Morirà nell’ospedale di Verona in seguito alle ferite riportate per una caduta da cavallo durante una semplice esercitazione.

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