Le avanguardie russe e sovietiche

 Le avanguardie russe e sovietiche

 Kandinskij viene riconosciuto come il creatore dell’astrattismo, probabilmente perché è il primo ad avere realizzato un quadro completamente privo di una figurazione collegabile con la natura.

Intorno al 1910, o poco dopo, l’astrattismo fiorisce un po’ ovunque, dimostrando che i tempi sono ormai maturi per rompere decisamente con una lunghissima tradizione artistica di carattere soprattutto figurativo.

In Russia, negli anni che precedono e seguono la prima guerra mondiale e la Rivoluzione d’ottobre, i movimenti d’avanguardia sono fra i più attivi d’Europa nel raggiungere posizioni astratte: il merito non è soltanto degli artisti implicati in questo massiccio aggiornamento di una millenaria tradizione, ma anche di quel controverso fenomeno che si chiama mercato dell’arte e del collezionismo che esso incentiva.

 Nella Russia di questo periodo, la voglia di modernità e di europeità trova soddisfazione nell’allestimento di mostre (soprattutto provenienti dalla Francia) e nell’importazione di sculture e dipinti da vendere sul vivace mercato di San Pietroburgo e di Mosca grazie all’interazione fra galleristi francesi, inglesi e tedeschi e mercanti russi. Cosi i giovani protagonisti del rinnovamento possono conoscere i capolavori del postimpressionismo e delle prime avanguardie, fra le quali una notevole influenza esercita il futurismo italiano, ben noto e molto apprezzato a Parigi.

 Raggismo

 Primo fra gli altri fu Mikhail Larionov (Tiraspol, 1881-Fontenay-aux-Roses, 1964) a fondare, nel 1910, insieme a Natalija Goncarova (Ladzymo, 1881-Parigi, 1962), sua compagna d’arte e di vita, una corrente, detta «raggismo» perché basata sulla dinamica di linee che si irradiano come frecce in varie direzioni, incuneandosi reciprocamente, sostenute dalla forza del colore.

Il particolare di Raggismo rosso, oltre a essere esemplare per il significato dell’irraggiamento delle linee, giustifica adeguatamente l’importanza assegnata da Larionov al colore, secondo quanto è sostenuto anche nel manifesto programmatico del raggismo, pubblicato nel 1913: «Pittura […] seguendo le leggi del colore […]; creazione di forme nuove il cui significato ed espressione dipendono soltanto dal grado di forza della tonalità e dalla posizione occupata da questa in relazione alle altre tonalità; […] rinascita della pittura con il solo mezzo delle sue leggi esclusive».

Larionov, Raggismo rosso

Raggismo rosso (particolare); 1913; guazzo su cartone; 17×33 cm. Parigi, collezione privata.

Il raggismo quindi si inserisce in quella tendenza, tipica di buona parte dell’arte moderna dall’impressionismo in poi, a rendere piuttosto il movimento che la stasi, considerando che tutto il nostro «essere» muta continuamente in modo irreversibile, che tutto in noi e fuori di noi si trasforma inarrestabilmente.

 Suprematismo

 Ancor più avanti sulla via dell’astrattismo assoluto si spinge Kazimir Malevic (Kiev, 1878-San Pietroburgo, 1935), il quale, dopo un inizio vicino al cubismo e al futurismo (il cosiddetto cubofuturismo) con ricordi dei Fauves, crea una corrente cui da il nome di «suprematismo», volendo indicare, come dice lui stesso, «la supremazia della pura sensibilità nell’arte».

La pittura, per Malevic, non può essere dunque che l’espressione del sentimento più intimo, non inquinato da alcun riferimento all’oggetto esterno, né da scopi politici, religiosi o sociali, indipendentemente dai quali essa si afferma «in sé e per sé».

Nel 1913 il pittore dipinge un’opera dal titolo significativo: Quadrato nero su fondo bianco. Il quadrato nero in quanto forma geometrica non è tratto dalla realtà; quindi è «espressione della sensibilità» interiore, «non-oggettiva», contrapposto a ciò che è esterno – e che perciò per l’«io» è il «nulla» – ossia il bianco: è la forma geometrica in cui tutti i lati e tutti gli angoli sono uguali, visibile da ogni parte senza che mutino i rapporti reciproci. È la rinuncia all’invenzione della forma priva di ogni controllo e dettata solo dall’estro, per ritrovare l’assolutezza dell’idea pura e perfetta. Ed è anche la rinuncia al colore, perché bianco e nero non sono colori: ne sono soltanto gli estremi oppositivi. Ma proprio da questa opposizione nasce un nuovo significato cromatico, come accade, per esempio, nella grafica.

Malevic, Quadrato nero su fondo bianco

Quadrato nero su fondo bianco; 1913,1915; olio su tela;1,09×1,09 m. San Pietroburgo, Museo di Stato Russo.

Qualche anno dopo (1918) l’artista giunge, nella sua ricerca di assoluto, al limite estremo oltre il quale è impossibile andare, dipingendo il Quadrato bianco su fondo bianco nel quale attua una totale semplificazione delle forme prive di colore. Comunque, al di là di questi due casi irripetibili, la pittura suprematista di Malevic si basa sempre su forme geometriche essenzializzate e su pochi colori stesi uniformemente su forme bidimensionali.

Malevic, Senza titolo

Senza titolo; circa 1916; olio su tela; 53,5×53,5 cm. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim

 “Ho lacerato l’abat-jour azzurro delle limitazioni di colore, sono uscito nel bianco; dietro di me, compagni aviatori, navigate nell’abisso, io ho alzato i semafori del suprematismo. Ho vinto l’involucro colorato del cielo, l’ho strappato e nella sacca che si è formata ho messo il colore e fatto un nodo. Navigate! Il bianco abisso libero, l’infinito sono davanti a noi.”

(K. Malevic, 1919)

 “Quando, nel 1913, nel corso dei miei sforzi disperati per liberare l’arte dalla zavorra dell’oggettività, mi rifugiai nella forma del quadrato, ed esposi un quadro che non rappresentava altro che un quadrato nero su un fondo bianco, i critici e i pubblico si lamentarono: “È andato perduto tutto ciò che noi abbiamo amato. Siamo in un deserto. […]” Consideravano questo quadrato incomprensibile e pericoloso… Ma non c’era altro da aspettarsi.)”

(K. Malevic, 1919)

 Costruttivismo

 Da queste affermazioni dell’arte come attività esclusivamente estetica si distacca gradualmente, fino a opporvisi, l’altra importante corrente astratta russa, il costruttivismo, il cui esponente massimo è Vladimir Tatlin (Mosca, 1885-ivi, 1953).

Tatlin, dopo aver partecipato ai movimenti artistici d’avanguardia e, soprattutto, dopo essere rimasto impressionato, a Parigi dove si era recato nel 1913, dal cubismo di Picasso, inizia a comporre Rilievi pittorici e Costruzioni in rilievo, privilegiando perciò la tridimensionalità della forma; successivamente, sulla spinta sociale della rivoluzione sovietica, passa al costruttivismo, ossia a una concezione che, pur non rinunciando all’astrattismo formale (e in questo vi è una componente suprematista), vuole l’oggetto artistico in funzione sociale.

Tatlin, Monumento alla terza internazionale

Monumento alla Terza Internazionale, modello ricostruito;1919; metallo e legno dipinto; altezza 3 m. diametro 1,56 m. Stoccolma, Moderna museet.

L’opera più importante di Tatlin è il progetto per il Monumento alla Terza Internazionale, un grandioso traliccio metallico impostato su assi diagonali e su una spirale, che impone alla struttura una spinta dinamica dal basso verso l’alto. È una composizione astratta che simboleggia, per il moto ascensionale, la marcia conquistatrice del socialismo; ed è al tempo stesso funzionale perché, all’interno dell’incastellatura, sarebbero stati sovrapposti tre immensi ambienti destinati a scopi politico-sociali: quello inferiore, cubico, per l’attività legislativa; quello intermedio, piramidale, preposto alle riunioni degli organismi amministrativi ed esecutivi; quello superiore, cilindrico, destinato agli uffici informativi.

I tre ambienti, chiusi da grandi pareti di vetro che alludono utopicamente alla trasparenza, all’onestà, alla chiarezza degli organi dirigenziali collettivisti usciti dalla rivoluzione proletaria, avrebbero confermato la dinamica della costruzione, muovendosi realmente in senso rotatorio con tempi diversi: un anno quello inferiore, un mese quello intermedio, un giorno quello superiore.

Per la prima volta si sarebbe realizzata un’unità totale fra scultura e architettura, attuando quella mobilità costituzionalmente negata alle arti visive eppur sempre ricercata dagli artisti di tutti i tempi, e anticipando l’arte cinetica.

La grave carestia che travagliava in quegli anni l’allora Unione Sovietica, e che rendeva impossibile perfino il reperimento del materiale necessario per un edificio di così vaste dimensioni (400 metri di altezza), non consentì che il monumento progettato da Tatlin venisse costruito. Dal progetto fu comunque ricavato un modello di dimensioni notevoli (25 metri di altezza).

 Il Manifesto realista

 Un altro esempio coevo (1920) di arte cinetica è una scultura di Naum Gabo (Brjansk, 1890-Waterbury, 1977) costituita da un’asticciola metallica che, messa in movimento da un motore, determina volumi e immagini spaziali.

Gabo è lo pseudonimo adottato dall’artista per distinguersi dal fratello Anton Pevsner (Brjansk, 1886-Parigi, 1962). L’uno e l’altro rifiutano il funzionalismo dell’opera d’arte sostenendone la non-oggettività e, ritenendo che proprio questo sia il realismo moderno, sottoscrivono, nel 1920, il Manifesto realista. La loro scultura tende a costruire le forme non tanto come nella tradizione con i «pieni», quanto anche con i «vuoti», determinando un’arte eminentemente spaziale.

Naum Gabo, Costruzione lineare nello spazio

Costruzione lineare nello spazio n,1 (variazione); 1942-1943; plexiglass con fili di nylon; 63x63x24 cm. Collezione privata.

Anton Pevsner, Croce ancorata

 

 

 

 

 

 

Croce ancorata; 1933; vetro, marmo e ottone, lunghezza 84,6 cm. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.

 

 

 

 

Produttivismo

 Poco dopo il Manifesto realista, Aleksandr Rodcenko (San Pietroburgo, 1891-Mosca, 1956) e Varvara Stèpanova (Kazan, 1894-Mosca, 1958), sua moglie, pubblicavano il Programma del gruppo produttivista, convinti al contrario dei Pevsner che, perdute ormai le funzioni tradizionali (quella religiosa, per esempio), l’arte potesse riacquistare un significato nell’età moderna, legata alla produttività industriale, solo all’interno della produzione stessa, cessando di essere «arte» nel senso consueto della parola e diventando «tecnica»: è il concetto del design, ossia della scelta, per l’oggetto prodotto in serie, di una forma perfettamente aderente all’uso.

Anche El Lissitzky (Smolensk, 1890-Mosca, 1941), dopo essere stato in contatto con Malevic, aderisce al produttivismo e ritiene non possa esservi contrasto fra arte e tecnica.

El Lissitzky, senza titolo

El Lissitzky, Senza titolo; circa 1921; olio su tela; 79,6×49,6 cm. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.

Rodcenko, Composizione lineare

Aleksandr Rodcenko, Composizione lineare; 1919; 44×35 cm. Ginevra, Musée d’Art et d’ Histoire.

 Fine delle avanguardie

 Nella Russia di questi anni, cosi ricca di vitalità, la burocrazia statale torna a prendere il sopravvento sulla libertà degli artisti.

Molti di essi abbandonano il paese e, soprattutto dopo la morte di Lenin (1924) e l’avvento di Stalin, l’arte sovietica subisce un’involuzione dovuta alla volontà del potere centrale, giungendo a una nuova forma di realismo al servizio dell’ideologia politica imposta dall’alto, detta realismo socialista, per lo più vuotamente retorica. Il regime imponeva infatti di esaltare le conquiste del nuovo ordine sociale rappresentando operai in pose solenni, soldati fieri di servire la patria rivoluzionaria, donne ormai affrancate dai condizionamenti della società tradizionale, contadini capaci di utilizzare le nuove, meravigliose tecniche di coltivazione e gli strumenti della tecnologia.

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