L’equivoco dell’Impressionismo
La nascita della parola Impressionismo è talmente costellata di equivoci e malintesi da assomigliare a una burla della storia. Anzitutto, i pittori che oggi chiamiamo con tale nome si definivano “realisti”, almeno fino al 1874: in quest’anno, ebbe luogo la famosa esposizione nello studio del fotografo Nadar, che è passata alla storia come il Salon des Refusèes, cioè con il dispregiativo coniato dai loro detrattori. In realtà, Monet, Degas, Sisley e gli altri pittori che organizzarono la mostra, tentarono in ogni modo di evitare un tale appellativo (dovuto al fatto che alcuni di loro erano stati rifiutati dalla giuria che selezionava le opere per il Salon), invitando anche artisti che esponevano nelle mostre ufficiali. Il loro voleva essere un atto di proclamazione di una pittura nuova, senza apparire come una mostra “di ripiego”. Pertanto, essi evitarono qualunque contrapposizione diretta e, per non incorrere negli appellativi che la stampa francese coniava con estrema facilità, si autoproclamarono “Società anonima di artisti, pittori, scultori, incisori…”.
Il titolo del quadro che si dice abbia ispirato il termine impressionismo, cioè la famosa veduta all’alba del porto di Le Havre, esposta da Monet in quello stesso 1874, ha poi una storia davvero curiosa: il fratello di Renoir, incaricato di redigere il catalogo dell’esposizione, era esasperato dalla monotonia dei titoli che Monet aveva scelto per le sue opere: …”Entrata al villaggio, Uscita dal villaggio, Mattino del villaggio…. Quando Edmond Renoir protestò, il pittore gli disse con calma: «E lei metta Impressione». In seguito Monet spiegò che aveva scelto per l’esposizione un dipinto fatto a Le Havre dalla finestra: il sole che traspare dai vapori di nebbia, e in primo piano l’alberatura di alcuni battelli. «Mi chiesero il titolo per il catalogo; e non potevo proprio farlo passare per una veduta di Le Havre. Risposi “Metta Impressione”». E infatti il dipinto fu catalogato Impressione. Levar del sole (da John Rewald, La storia dell’Impressionismo, pp. 275-76). Come se non bastasse, il dipinto che compare nei manuali non è affatto il quadro in questione (che è in collezione privata), ma una veduta del porto di Le Havre non all’alba, bensì al tramonto (del Musée Marmottan di Parigi).
La mostra inaugurale del movimento
LA PRIMA IMPRESSIONE
Parigi, aprile 1874.La rivista satirica “Le Charivari” pubblica un articolo di Louis Leroy su una mostra di pittura inauguratasi il giorno 15 in un vecchio studio di boulevard des Capucines messo a disposizione dal noto fotografo Nadar. La mostra comprende centosessantatre opere, inclusi i disegni, gli acquerelli e i pastelli ed è allestita da un gruppo di artisti esordienti – tra cui Edgar Degas, Paul Cézanne, Félix Bracquemond, Armand Guillaumin, Claude Monet, Berthe Morisot, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir e Alfred Sisley – che ha in odio etichette e classificazioni. Più che logico, quindi, che i protagonisti mostrino di non gradire il nome di «impressionisti» che Leroy ha coniato, oltretutto, col preciso intento di mettere alla berlina quel nuovo, sconvolgente linguaggio pittorico.
Fingendo di accompagnare un immaginario, pluridecorato pittore accademico, Leroy, infatti, prende di mira la nuova tecnica in brani come questo: «Alla vista di quel paesaggio incredibile [ Campo arato, di Pissarro], il buon uomo pensò che i suoi occhiali fossero sporchi e, dopo averli strofinati ben bene, li pose nuovamente sul naso e “Buon Dio”, disse, “cos’è questo?”. “E’ la brina su un campo arato di recente”, risposi. “E questi sarebbero solchi? E questa la brina? […] Non ha né capo né coda, non ha un verso, un davanti e un didietro”. “Può darsi, ma l’impressione c’è”. “Beh, è un’impressione maledettamente buffa”. Poi, di fronte al quadro di Monet che rappresentava il boulevard des Capucines: “Bene!” disse ancora […] con un ghigno mefistofelico “Le piace anche questo? Anche qui ci deve essere un’impressione, o forse sono io che non capisco”. Poco dopo si fermò davanti a Impression, soleil levant [“Impressione, sole nascente”] di Monet. Il suo viso diventò paonazzo. […] “Che rappresenta questo quadro? Come dice il catalogo? Impression, soleil levant. L’avrei giurato! Dicevo giusto a me stesso che ci doveva essere qualche impressione che mi aveva colpito… E che libertà; che bravura! Una carta da parati al suo stato embrionale è più rifinita di questa marina”».
Nei cataloghi delle successive sette mostre allestite dal gruppo di boulevard des Capucines si legge soltanto: «Mostra di pitture di […]» e di seguito i nomi dei partecipanti. I diretti interessati continuano infatti a rifiutare il riduttivo nome di impressionisti che designa quanto di evanescente, incompiuto, privo di dettagli e legato a un primo approccio istintivo sembra caratterizzare agli occhi dei detrattori la nuova tecnica di quegli “scandalosi” autori. Essi affermano di voler comunicare ben più che l'”impressione” di qualcosa, precisando che il titolo del contestato quadro di Monet, Impression, soleil levant, è dovuto solo a fattori contingenti e non deve quindi trarre in inganno, come se volesse alludere all’ideale programmatico della nuova pittura. Ma quel nome pare scritto nel destino. Nel 1877 è proprio Renoir che convince il critico d’arte Georges Rivière a pubblicare una rivista settimanale dal titolo “L’Impressionniste” (ne usciranno solo quattro numeri, fra il 6 e il 28 aprile, contemporaneamente alla terza mostra del gruppo): anche i protagonisti ormai cedono di fronte al favore incontrato da un nome con cui diventeranno, in breve tempo, universalmente noti e apprezzati.